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Un passaggio per conoscere. A lezione da Empedocle (fr. 3 D. -K.)

Orsù dei! Allontanate dalla lingua follia di costoro

e da sacre labbra incanalate una pura fonte.

E a te, Musa che molto ricorda, vergine dalle candide braccia,

a te rivolgo le mie suppliche: di quanto è lecito agli effimeri ascoltare,

manda un docile carro, guidandolo a partire da Eusebeia.

E non ti costringerà a cogliere i fiori di un glorioso onore

dei mortali, a condizione di dire più del lecito.

Coraggio! E allora siediti sulle vette della sapienza.

Forza, osserva con ogni mezzo come ciascuna cosa si manifesta,

e non fidarti della vista più che dell’udito,

o dell’orecchio che rimbomba al posto delle chiare espressioni della lingua,

e non trattenere in alcun modo la fiducia delle altre membra,

ovunque vi sia un passaggio per conoscere, e comprendi

in che modo ciascuna cosa si manifesta[1].

 

Empedocle, fr. 3 D.-K.

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Nel proemio del suo Περὶ φύσεως (Sulla natura), Empedocle – filosofo acragantino vissuto nel V a. C., noto ai più per la teoria delle quattro radici da cui tutto ha origine (terra, aria, acqua, fuoco) –, dopo la tradizionale invocazione alla divinità per poter procedere con l’esposizione della teoria fisica, trova spazio per parlare del problema della conoscenza. In un primo momento, invita il destinatario dell’opera, ovvero il discepolo Pausania, a non rifiutare la conoscenza sensibile. Empedocle, infatti, non esclude la possibilità di poter conoscere attraverso la percezione sensoriale e in questo passaggio un accorto lettore potrà notare lo scarto rispetto a Parmenide, il quale invece aveva privilegiato la conoscenza intellettiva. In secondo luogo, però, nel suggerire al proprio discepolo di comprendere «in che modo ciascuna cosa si manifesta», il filosofo acragantino utilizza il verbo νοέω (‘comprendo’), che pare riabilitare il νοῦς, ovvero la capacità intellettiva che Parmenide aveva indicato come unica strada per conoscere. In sostanza, pare che per Empedocle si possa giungere alla conoscenza sia con la percezione sensoriale, sia con un moto intellettivo.

Un particolare molto interessante di questo frammento è il fatto che qui il filosofo di Akragas riesce a saldare i diversi aspetti del suo pensiero: infatti, l’aspetto scientifico della conoscenza non è disgiunto dalla religione, come attesta l’invocazione alla Musa, ispiratrice di un linguaggio chiaro, portatrice di un messaggio che può essere ascoltato dagli uomini, per natura effimeri. È una conoscenza fisica, scientifica, ma che ha bisogno della divinità per essere comunicata. E religione e scienza in Empedocle convivono e coesistono, e talvolta arrivano a sovrapporsi talmente bene, che è difficile distinguere le due sfere[2].

In un’epoca come la nostra, in cui la cultura scientifica e quella umanistica vengono di continuo distinte – e talora addirittura messe in contrasto tra di loro, per affermare un fallace primato dell’una sull’altra – il messaggio di Empedocle potrebbe dimostrare che effettivamente non esiste una vera e propria contrapposizione tra i saperi, e che la cultura è universale. Una frase su tutte pare riassumere l’idea di universalità della cultura, insita nella mentalità del filosofo: «non negare fiducia alle tue capacità, dove si apra un varco di conoscenza». In altre parole, è probabile che con queste parole Empedocle voglia affermare che esistono effettivamente diverse strade che conducono alla conoscenza, e queste strade possono essere la fisica, la religione, la poesia, la morale; e che tutte queste strade, se percorse fino alla fine, convergono verso una meta comune, cioè verso la conoscenza della φύσις delle cose.

 

 

 

[1] La traduzione è mia.

[2] Al riguardo, è opportuno citare il fr. 6 D.-K., in cui i quattro elementi fisici prendono il nome delle divinità della religione greca e locale: infatti, Zeus è chiamato il fuoco, Nesti l’acqua, Era l’aria, Aidoneo il fuoco. In sostanza, la commistione tra la sfera fisica e la sfera religiosa è molto evidente in questo frammento.

 

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