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Contro la violenza sulle donne

Il 25 Novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata contro la violenza sulle donne. Tra le varie forme che tale violenza può assumere, quella che maggiormente risalta a livello mediatico è rappresentata dal femminicidio. Per dare un’idea delle dimensioni di tale fenomeno a livello nazionale, basta guardare i dati del rapporto Eures: nei primi dieci mesi del 2020, in Italia sono avvenuti 91 femminicidi. Nel solo XXI secolo, in Italia sono state uccise 3344 donne. Questi numeri sono tali da giustificare l’affermazione generalizzata subita negli ultimi tempi dal termine “femminicidio” (apparso per la prima volta in un articolo del 1992), che indica le uccisioni delle donne da parte degli uomini per motivi di misoginia, odio, disprezzo, piacere o senso di possesso.

La violenza non è solo fisica ma anche mentale e psicologica: violenza è la stessa considerazione della donna come strumento di cui potersi servire a proprio arbitrio. Alla base di tutto ciò vi è un problema culturale che si origina dai falsi stereotipi sulle differenze di genere. Il problema rappresentato dall’affermarsi di una cultura sessista e discriminatoria che svilisce la donna, ne oggettivizza il corpo e ne limita l’individualità e l’autorevolezza. Ciò viola gravemente i diritti fondamentali alla vita, alla libertà, alla sicurezza, alla dignità, all’uguaglianza tra i sessi. Al giorno d’oggi, quando si parla di violenze sessuali si usa spesso l’espressione “amore violento”. Ma dove c’è violenza può esistere amore? La risposta è “no!”. È la concezione deviata dell’amore che porta alla violenza. Amore come temporaneo sfogo, come soddisfazione di effimeri desideri sessuali. Di certo, però, l’amore non è possesso. È piuttosto riconoscersi con l’altra persona nel comune desiderio di migliorarsi. Il vero amore non porterà mai a decidere della vita e della libertà altrui.

Certamente, l’istituzione di una Giornata mondiale contro la violenza sulle donne non può esser sufficiente ad eliminare il problema. Ognuno di noi dovrebbe agire ogni giorno per rimuovere radicate ideologie e per creare una nuova consapevolezza civica, rispettosa dell’unicità di ogni persona.

Perché il 25 Novembre

In questa data, scelta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 54/134 del 17 Dicembre 1999, ricorre l’anniversario dell’uccisione di tre giovani sorelle dominicane (Patria, Minerva e María Teresa Mirabal) avvenuta nel 1960. Le tre donne, rispettivamente 25, 36 e 34 anni, erano attiviste politiche molto impegnate nell’opposizione alla dittatura di Rafael Trujillo (chiamato il “generalissimo”), ex criminale dominicano che diede vita ad uno dei regimi più sanguinosi dell’America latina. Trujillo ben presto prese di mira le tre sorelle: prima le condannò al carcere per le loro attività “contrarie alla sicurezza dello stato”, poi le liberò lasciando però i mariti dietro le sbarre, in modo da poterle attaccare più facilmente. Era il 25 Novembre 1960: le tre sorelle stavano andando in Jeep a far visita ai propri mariti in carcere, quando la strada venne loro sbarrata dai militari del Sim (Servicio de Inteligencia Militar), agli ordini del Trujillo. Le donne vennero portate in luogo isolato in montagna, dove furono brutalmente picchiate, stuprate e infine strangolate. Successivamente, i corpi senza vita furono ricollocati nell’auto, che venne distrutta: tutto doveva far pensare ad un incidente stradale.

Le scarpette rosse

In questi giorni, una delle immagini più ricorrenti per promuovere la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne è quella delle scarpette rosse abbandonate nelle piazze. Le scarpe rosse sono il simbolo più usato per denunciare la violenza sulle donne e sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema. Un simbolo ideato nel 2009 dall’artista messicana Elina Chauvet allo scopo di ricordare la sorella minore, uccisa dal compagno all’età di 22 anni.

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