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La parola di Anassimandro

Che cos’è l’ingiustizia? Per capire la parola di Anassimandro (è il titolo di un saggio di Emanuele Severino) occorre partire da questo interrogativo. Per Nicola Abbagnano (secondo quanto riportato nel suo Dizionario di filosofia) è da intendersi per giustizia: «L’ordine dei rapporti umani o la condotta di chi si adegua a questo ordine». «Ingiustizia» è dunque «non adeguarsi» all’«ordine» politico e sociale. Oppure «il disordine» dei rapporti umani. Certo Anassimandro afferma (per la prima volta in filosofia con lui entra questo termine) che arché di tutte le cose è l’ápeiron (cioè l’infinito, l’illimitato, l’indefinito). Questo infinito è l’origine anche degli esseri umani e degli infiniti mondi nei quali gli esseri umani si trovano. Là dove vi è questo infinito vi è la giustizia. Poi – per separazione – da questa unità originaria nascono i contrari (bello e brutto, caldo e freddo, secco e umido, vero e falso, giusto e sbagliato) che costituiscono la natura degli esseri umani. Dunque gli esseri umani nascono per differenza da una giustizia originaria (l’ápeiron); ma la rottura, la caduta il distacco da questa giustizia infinita originaria genera la differenza e dunque l’ingiustizia. Gli esseri umani (e gli infiniti mondi) nascono dall’infinito nel quale tutto è giusto e dunque non vi sono il giusto e lo sbagliato e dunque niente è giusto: tutto è indefinito. Da questo indefinito, per separazione, si generano infiniti mondi spazialmente distinti ma anche infiniti esseri molteplici e differenti: come siamo noi esseri umani. Certo Anassimandro parla di «esseri» (quindi anche animali, piante, microorganismi eccetera): e questi «esseri» pagano «la pena» – l’uno all’altro – della loro ingiustizia:  punizione che sconteranno solo con la morte – attraverso la quale essi torneranno nell’indefinito originario. Dunque l’ingiustizia si genera dalla differenza. Nell’unità indefinita originaria, dalla quale tutte le cose derivano, non c’è giustizia e non c’è ingiustizia. Da questa unità-totalità, per separazione di contrari, si generano tutti gli «esseri». Infatti la «sostanza primordiale» è in eterno movimento. Questa «separazione» fa nascere gli «esseri» che sono uno diverso dall’altro e quindi sono definiti e non più indefiniti come nell’ápeiron. Essendo definiti essi sono diversi dalla cosa che li ha generati e che costituisce la loro natura. Dunque, come nasce l’ingiustizia? Lo abbiamo detto: ingiustizia è il disordine dei rapporti umani da contrapporre all’indefinito non-ordine e né disordine della sostanza originaria. Gli esseri l’un l’altro dimostrano ingiustizia in questo mondo molteplice e diverso. Cioè non si adeguano più all’ordine della sostanza originaria. Ma siccome la loro costituzione stessa (è il significato dell’archè) è l’indefinito, adesso questi «esseri» sono contraddittori anche rispetto a sé stessi. Sono stati castigati, devono pagare il fio, devono scontare una pena. E cosa significa essere contraddittorio anche rispetto a sé stesso? Essere infelice. Dunque per sanare, curare e redimere questa infelicità (che li costituisce e che è la loro origine) gli esseri devono scontare questo castigo nella vita qui sulla terra e attraverso la morte potranno tornare all’indefinito originario nel quale non vi sarà più felicità né infelicità. La vita vista come castigo di Anassimandro ci ricorda molto da vicino la «valle di lacrime» della tradizione cattolica. Ma è anche qualcosa che ci rammenta il fatto semplice e banale del sofferente che si chiede «Che colpa ne ho io di tutto ciò?». Anassimandro potrebbe, dunque, essere un pensatore problematico e complesso, oppure semplice e banale. A voi la scelta…

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