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La nuova poetica del Dolce stil novo

 

G. Vasari, ritratto di sei poeti toscani, olio su tela, 1544.

«O frate, issa vegg’io», diss’elli, «il nodo

che ’l Notaro e Guittone e me ritenne

di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!»

(Purg. XXIV 55-57)

 

 

 

«Le vostre penne»: il Dolce stil novo secondo Bonagiunta Orbicciani

Nella sesta cornice del Purgatorio, Dante e Virgilio incontrano le anime dei golosi, la cui pena consiste nell’esser tormentati dalla fame e dalla sete, desideri continuamente stimolati da alberi pieni di frutti profumati e da una fonte d’acqua limpida. All’inizio del canto XXIV, Forese Donati (un amico con cui Dante aveva iniziato a dialogare nel canto precedente) mostra le anime presenti in quel luogo. Dante scruta attorno a sé, vede tante persone e alla fine rivolge la propria attenzione al poeta Bonagiunta Orbicciani da Lucca, più degli altri desideroso di conoscere il “collega” fiorentino (vv. 34-36). Bonagiunta mormora qualcosa a bassa voce, forse «Gentucca» (v. 37). Il balbettio del poeta lucchese è tutt’altro che chiaro: i commentatori antichi (tra cui Boccaccio) intendevano il termine nel senso di ‘gentuccia’, ossia ‘gente da poco’. In realtà, sembra poco plausibile che Bonagiunta si rivolga a Dante con un epiteto così poco lusinghiero: dal contesto poetico, infatti, emerge la forte stima provata da Bonagiunta nei confronti del poeta fiorentino. Pertanto, i dantisti moderni ritengono che Gentucca sia il nome di una nobildonna che ospitò Dante a Lucca durante l’esilio. A costei farebbe riferimento Bonagiunta quando segnala la presenza di una bambina che, una volta cresciuta, farà piacere a Dante la città di Lucca (vv. 43-45). A questo punto, Bonagiunta apostrofa Dante come colui che espresse una poesia di tipo nuovo a partire dalla canzone Donne ch’avete intelletto d’amore. Contenuta nel capitolo XIX della Vita Nova, tale lirica esprime l’amore puro e spirituale di Dante per Beatrice, divenuta ormai una creatura angelicata. Dante conferma subito tale “investitura”: «i’ mi son un che, quando/Amor mi spira, noto, e a quel modo/ch’e’ ditta dentro vo significando» (vv. 52-54), ovvero ‘io sono uno che, quando Amore mi ispira, annoto, ed esprimo a parole quanto egli detta dentro di me’. Bonagiunta, profondamente colpito dalle parole di Dante, rimarca le ragioni che oppongono la nuova poetica alla tradizione precedente: «io veggio ben come le vostre penne/di retro al dittator sen vanno strette,/che de le nostre certo non avvenne» (vv. 58-60). Il «dolce stil novo» (v. 57), infatti, è caratterizzato da una maggiore aderenza al dettato di Amore. Vi è una linea di demarcazione con lo stile “vecchio” rappresentato dalla poesia del Notaro (Jacopo da Lentini, esponente della Scuola siciliana), e di Guittone d’Arezzo (colui che fece da tramite fra la Scuola siciliana e i rimatori siculo-toscani).

 

L’esperienza siculo-toscana di Bonagiunta

Bonagiunta Orbicciani da Lucca fu poeta ma anche notaio, come si può dedurre dal titolo di ser attribuitogli nei documenti dell’epoca. Le testimonianze attestano che la sua attività fiorì tra il 1242 e il 1257. Sicuramente morì prima del nuovo secolo, visto che Dante lo ha potuto incontrare in Purgatorio nel 1300. Nonostante passi per seguace di Guittone d’Arezzo, in realtà l’Orbicciani, più anziano del collega aretino, fu legato ai rimatori Siciliani (soprattutto a Jacopo da Lentini, del quale riprese certe tematiche). A Bonagiunta, insomma, va attribuita la priorità del trapianto della poetica siciliana in Toscana. Il lucchese inaugurò quel filone siculo-toscano che, se da un lato riprese certe forme poetiche (come la canzone e il sonetto) e certi temi (come la trattazione dell’amore) già elaborati dai Siciliani, dall’altro introdusse importanti novità. Tra queste ultime, il dialetto toscano e la tematica civile, segno della diretta partecipazione di questi poeti alla vita politica comunale. Ad ogni modo, durante la propria vita, Bonagiunta ebbe modo di conoscere e di scontrarsi con la nuova poetica stilnovista, il cui più importante rappresentante era, all’epoca, il bolognese Guido Guinizzelli. È rimasta una celebre tenzone tra i due poeti, aperta dall’Orbicciani con il sonetto Voi ch’avete mutata la mainera.

I caratteri del Dolce stil novo

Con questo componimento, Bonagiunta accusava Guinizzelli di aver cambiato inutilmente la maniera di fare poesia amorosa per superare in bravura tutti gli altri trovatori. Inutilmente perché in Toscana già risplendeva quel sole rappresentato dalla tradizione siculo-toscana. Inoltre, secondo il lucchese, Guinizzelli introdusse un elemento di difficoltà, una complicazione intellettualistica che rendeva i suoi componimenti assai oscuri (v.11: «cotant’è iscura vostra parlatura»). La critica di Bonagiunta era rivolta al carattere filosofico delle liriche di Guinizzelli, che contenevano complessi riferimenti dottrinari la cui comprensione esigeva una cultura universitaria. Ed era strano, per l’Orbicciani, questo «traier canson per forsa di scrittura» (v. 14), ossia questo ‘comporre canzoni estraendole per forza dai testi’ filosofici. La nuova poetica guinizzelliana era destinata a trovare illustri continuatori nel periodo tra il 1280 e il 1310. I maggiori rappresentanti furono Guido Cavalcanti, Dante stesso, Lapo Gianni, Cino da Pistoia. Fu proprio Dante a conferire autorità alla nuova scuola poetica, concependola come culmine di un processo iniziato dai Siciliani e allo stesso tempo insistendo sugli elementi di originalità. La novità del Dolce stil riguarda l’assoluta fedeltà all’ispirazione di Amore. Amore detta i versi che il poeta-scriba riporta fedelmente: è una sorta di fabbro del materiale poetico, che il poeta deve solo limare. Muta anche la concezione stessa dell’amore, non più semplice corteggiamento (come nella poesia cortese tradizionale) ma possibilità di elevazione spirituale per l’uomo, dal momento che lo innalza al livello del divino. La celebrazione di una donna angelicata, intermediaria tra il poeta e Dio, garantisce la salvezza. Esser fedeli ad Amore significa sublimare la passione e saperne registrare tutte le dinamiche, ciò che richiede conoscenze teoriche che i poeti della precedente tradizione non possedevano. Ad esempio, memorabile è il riferimento dantesco (in VN II) alla teoria degli spiriti vitali derivata dalle opere di Galeno. Nella formula Dolce stil novo risalta la dolcezza stilistica delle nuove rime. Essa consiste in un dettato puro, elevato, melodioso, dunque in contrasto con le asprezze “plebee” dei siculo-toscani. Ciò fa capire come il pubblico stilnovista non potesse essere la vasta borghesia comunale, ma una ristretta classe intellettuale di fedeli d’Amore.

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