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Carlo Martello e i confini del regno di Napoli

e quel corno d’Ausonia che s’imborga

di Bari e di Gaeta e di Catona

da ove Tronto e Verde in mare sgorga

(Par. VIII 61-63)

 

Carlo Martello, re senza corona e senza scorta

Carlo Martello d’Angiò, Beatrice e Dante in una cartolina pubblicitaria della Compagnia Liebig (1966).
Fig.1: Carlo Martello d’Angiò, Beatrice e Dante in una cartolina pubblicitaria della Compagnia Liebig (1966).

Nel cielo di Venere, riservato agli spiriti amanti, Dante e Beatrice incontrano l’anima di Carlo Martello. Figlio di Carlo II d’Angiò e di Maria d’Ungheria, ebbe vita assai breve, come dichiara non appena prende la parola (Par. VIII 49s.): «il mondo m’ebbe/giù poco tempo». Morì, infatti, ventiquattrenne, senza esser riuscito ad imporre la propria completa sovranità sul trono d’Ungheria, paese di cui fu re soltanto dal punto di vista formale. Il discorso di Carlo può essere suddiviso in due sezioni, caratterizzate rispettivamente dall’accenno al rapporto privato con Dante e dalla rivelazione della propria identità pubblica. Quanto alla prima, il Martello dichiara, rivolto al Sommo Poeta: «assai m’amasti, e avesti ben onde;/che s’io fossi giù stato, io ti mostrava/di mio amor più oltre che le fronde» (vv. 54-57), ovvero ‘mi hai amato profondamente, e ne hai avuto buon motivo; poiché, se io fossi rimasto in vita più a lungo, ti avrei mostrato il mio affetto in tutta la sua profondità’. Questi versi alludono ad un rapporto di amicizia tra Dante e Carlo, conosciutisi probabilmente nel 1294, quando quest’ultimo soggiornò a Firenze una ventina di giorni per incontrare i propri genitori che rientravano dalla Francia. Accolto dai fiorentini con grande entusiasmo, il Martello ricevette una delegazione della quale doveva far parte lo stesso Dante. Per il Sommo Poeta, l’amicizia col principe angioino andò oltre le momentanee convenienze politiche e diplomatiche per fondarsi su comuni gusti ed interessi letterari. Del resto, Carlo stesso ricorda Dante innanzitutto come l’autore della canzone Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete (v. 37). Nella seconda parte del proprio discorso (vv. 58-66), il sovrano indica (attraverso eleganti e precise perifrasi) quali terre non riuscì ad ereditare a causa del malgoverno della propria famiglia. Oltre alla Provenza («quella sinistra riva che si lava/di Rodano poi ch’è misto con Sorga», vv. 58s.) e all’Ungheria («quella terra che ’l Danubio riga/poi che le ripe tedesche abbandona», vv. 65s.), viene citato il regno di Napoli, dominio della famiglia d’Angiò. L’espressione «corno d’Ausonia» (v. 61) designa, appunto, la parte estrema dell’Italia meridionale, caratterizzata da una forma a mezzaluna e anticamente abitata dagli Ausoni. I limiti di questo territorio sono rappresentati da tre città fortificate, attualmente in Puglia, Campania e Calabria: si tratta, rispettivamente, di Bari ad Est, di Gaeta ad Ovest, di Catona a Sud. Infine, il corso dei fiumi Tronto e Verde segna il confine settentrionale del regno. Dominio angioino avrebbe dovuto essere anche la Sicilia, «la bella Trinacria, che caliga/tra Pachino e Peloro» (vv. 67s.). Da notare l’efficacia stilistica del verbo, indicante la caligine prodotta dall’Etna che si deposita nella vasta area tra Pachino (a Sud, in provincia di Siracusa) e Capo Peloro (a Nord di Ganzirri, in provincia di Messina), area il cui centro è dominato dal golfo di Catania, frequentemente battuto dallo scirocco. Questa zona sarebbe ancora governata dalla famiglia d’Angiò, se solo «mala segnoria, che sempre accora/li popoli suggetti, non avesse/mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”» (vv. 73-75). L’allusione è ai Vespri siciliani (1282), vasto moto di ribellione che, partito da Palermo, coinvolse presto gli abitanti dell’intera isola nella cacciata dell’oppressore francese.

Catona, cittadella fortificata alle porte di Reggio Calabria

Fig. 2: Veduta del lungomare di Catona (RC).
Fig. 2: Veduta del lungomare di Catona (RC).

Per il lettore moderno, potrebbe risultare strano il fatto che Dante menzioni quello che oggi è un piccolo borgo marittimo sito nella periferia Nord di Reggio Calabria. Ma bisogna considerare che, in epoca medievale, Catona era sede di un’importante fortificazione (il neologismo dantesco “imborgarsi” allude proprio a questo) posta a difesa dell’area dello Stretto di Messina. Si trattava, dunque, di un centro strategico di notevole rilevanza, a tal punto che fu anche coinvolto in importanti operazioni militari. Giulio Ferroni, in un poderoso volume intitolato L’Italia di Dante. Viaggio nel paese della Commedia (La Nave di Teseo, Milano 2019), ha dedicato un capitolo alla provincia di Reggio Calabria.  Scrive l’illustre italianista a proposito di Par. VIII 62: «torno ancora […] sulle parole in cui, prima di nominare la Sicilia, Carlo Martello d’Angiò indica i limiti dell’Italia meridionale, il suo imborgarsi in fortezze dislocate come diversi punti cardinali. Ora si tratta del punto meridionale, individuato in questa costa della Calabria che fronteggia la Sicilia, certamente Catona e non Crotona, come leggono pochi manoscritti e alcuni commentatori antichi. È fin troppo evidente che l’antica e celebre città di Crotone è in una posizione che non permette certo di segnarla come punto limite di quel corno d’Ausonia: mentre a Catona, qui tra Villa San Giovanni e Reggio, si può certo attribuire questa qualifica, tanto più che ai tempi di Dante era una piazzaforte importante per la difesa del regno ed era stata devastata durante la guerra del Vespro, evocata del resto proprio da Carlo Martello d’Angiò».

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