Vai al contenuto

Dante, Casella, la musica

Fig. 1: S. Martini (1284-1344), Investitura di San Martino (dettaglio raffigurante musici medievali).
Fig. 1: S. Martini (1284-1344), Investitura di San Martino (dettaglio raffigurante musici medievali).

Amor che ne la mente mi ragiona

cominciò elli allor sì dolcemente,

che la dolcezza ancor dentro mi suona.

 

Lo mio maestro e io e quella gente

ch’eran con lui parevan sì contenti,

come a nessun toccasse altro la mente.

(Purg. II 112-117)

 

Il canto di Casella

Dopo essersi purificato dalla caligine infernale, Dante si ferma sul bagnasciuga per riflettere sul cammino ancora da percorrere. All’improvviso, appare una luce che dal mare muove rapidissimamente verso la riva. Si tratta dell’angelo-nocchiero incaricato di trasportare le anime sulla spiaggia del Purgatorio. La sua barca è così leggera che non affonda nell’acqua, «e più di cento spirti entro sediero./In exitu Israel de Aegypto/cantavan tutti insieme ad una voce/con quanto di quel salmo è poscia scripto» (Purg. II 45-48)[1]. Dalla turba appena sbarcata si stacca Casella, celebre musico toscano e grande amico di Dante. L’abbraccio tra i due, più volte tentato, fallisce a causa della materia inconsistente di cui è composto lo spirito: «ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!/tre volte dietro a lei le mani avvinsi,/e tante mi tornai con esse al petto» (vv. 79-81). Sebbene salutato con cotanta gioia, Dante in un primo momento non riconosce quell’anima. Solo quando la sente parlare finalmente esclama «Casella mio!» (v. 91): la sua voce è ciò che più gli era rimasto impresso nella mente. Il discorso del musico fa emergere, ancora una volta, lo stretto legame d’amicizia che lo lega al poeta fiorentino: «così com’io t’amai/nel mortal corpo, così t’amo sciolta» (vv. 88s.). A questo punto, Dante, rammentando che l’amico è morto ormai da qualche tempo, si chiede perché stia entrando solo ora in Purgatorio. Il musico spiega di aver dovuto attendere il tempo necessario a dimenticare gli interessi terreni. Tale processo, tuttavia, non si è ancora compiuto, come dimostrato dalla scelta di cantare una canzone dedicata alla filosofia (vd. v. 112). Ad ogni modo, da tre mesi (cioè dall’inizio dell’anno giubilare 1300) ha potuto usufruire dell’indulgenza plenaria concessa da Bonifacio VIII. Per questo motivo Casella è stato finalmente trasportato dalla foce del Tevere (il luogo dove si raccolgono tutte le anime non destinate all’Inferno) sulla spiaggia del Purgatorio. Soddisfatto della risposta, Dante chiede a Casella di intonare qualche motivo per «consolare alquanto/l’anima mia, che, con la sua persona/venendo qui, è affannata tanto!» (vv. 109-111). Il musico, sempre sollecito nel soddisfare i desideri dell’amico, inizia a cantare “Amor che ne la mente mi ragiona”, componimento poetico di Dante inizialmente dedicato a Beatrice ma nel Convivio reinterpretato in chiave filosofica. La voce del musico si spande armoniosamente per l’ambiente circostante, attirando l’attenzione dei presenti. Rallegrati dal canto di Casella, tutti dimenticano per un attimo il cammino verso la purificazione, con ciò suscitando l’aspro rimprovero di Catone: nel Purgatorio sono ammessi solo canti in lode di Dio, ed è vietato ogni tipo di distrazione!

Casella, musico “stilnovista”

Le notizie biografiche oggi disponibili a proposito di Casella sono assai scarse: gli antichi commentatori attestano che fu un apprezzato musico toscano, fiorentino o forse pistoiese di nascita. Tuttavia, il suo nome era talmente frequente al tempo di Dante che sarebbe vano tentare di identificare i vari “Casella” dei documenti dell’epoca con il personaggio dantesco di nostro interesse. È stato ipotizzato che l’amico di Dante fosse stato uno dei primi rappresentanti, all’interno della penisola italica, della cosiddetta Ars nova, ovvero di una nuova corrente musicale che, nata in Francia, si diffuse in séguito in Italia, con particolare sviluppo a Firenze. La teoria appare plausibile, dato il contemporaneo fervore artistico sperimentato dalla città toscana in campo letterario (con il Dolce Stil Novo).

Il canto qui intonato da Casella (“Amor che ne la mente mi ragiona”) doveva esser ben noto ai primi lettori della Commedia dantesca. Questo spiega perché ne viene citato solo il primo verso. Come ha osservato il De Sanctis (1976, 227)[2], «la poesia qui non è nella rappresentazione, ma in quei lettori e in quei tempi». Con questa espressione sibillina, l’illustre critico letterario «intendeva riferirsi alla nozione di allusione, per cui il testo, pur non indicando apertamente i suoi referenti significativi, viene interpretato correttamente dai suoi destinatari grazie al comune patrimonio di esperienza» (De Ventura 2012, 47)[3]. In altre parole, «quando Casella attacca il principio della canzone sembra proprio di udire un motivo; e certo, se noi lo conoscessimo, nel legger quei versi, giunti a quel punto, ci verrebbe fatto di canticchiarlo mentalmente» (Bonaventura 1904, 136)[4].

 

[1] L’intonazione di inni e preghiere, finalizzata all’accelerazione dell’iter salvifico delle singole anime, è elemento tipico dell’intero regno intermedio.

[2] F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Milano, Garzanti 1976, vol. I.

[3] P. De Ventura, Dante e Casella, allusione e performanza, «Dante» IX, 2012, pp. 43-58.

[4] A. Bonaventura, Dante e la musica, Giusti, Livorno 1904.

error: Content is protected !!